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"La sorella migliore" al Bobbio, Scalera: «I segreti di una famiglia» - IL PICCOLO 08/02/24



Elisa Grando / Trieste


Un fratello che si macchia di un delitto, un equilibrio famigliare spezzato, e una sorella che potrebbe cambiare il corso delle cose: è il cuore di "La sorella migliore", il dramma scritto da Filippo Gili che porta a Trieste Vanessa Scalera dopo lo strepitoso successo televisivo nella serie Rai "Imma Tataranni – Sostituto procuratore".


Prossimamente rivedremo Scalera in tv anche nei panni di Cosima Misseri in "Avetrana qui non è Hollywood, che ripercorre il delitto di Sarah Scazzi. Intanto, però, è tornata felicemente sul palco: "La sorella migliore" va in scena da questa sera a domenica al Teatro Orazio Bobbio (alle 20.30, domenica alle 16.30) , con la regia di Francesco Frangipane e nel cast anche Daniela Marra, Giovanni Anzaldo e Michela Martini. Protagonisti un fratello, due sorelle e una madre, in un testo che incrocia amore fraterno, senso di colpa, rimorso. Scalera è «la sorella maggiore, un'avvocatessa», anticipa l'attrice. «Il fratello commette un delitto: investe una donna mentre è drogato, ubriaco e con la patente sospesa. Io divento appunto la sua avvocatessa, ma nascondo per otto anni una verità che avrebbe potuto cambiare il buon vivere della famiglia stessa, le relazioni tra i personaggi e la vita di mio fratello».


Come ha costruito con gli altri attori il legame, a volte controverso, tra fratelli e sorelle?

«Ho un fratello, fortunatamente molto diverso da quello interpretato da Giovanni Anzaldo, quindi so cos'è la fratellanza. Abbiamo fatto meno di trenta giorni di prove, ma è il microcosmo della tournée che ci ha permesso di creare quei legami, nell'attraversare mezza Italia in pulmino: viaggiamo sempre tutti insieme, anche col regista. A volte i piani si confondono e tratto Anzaldo e Marra come fossero veramente i personaggi che rappresentiamo. Quindi io sono la sorella maggiore, e lui il piccolo di casa».


Il 12 giugno la vedremo al cinema il film "Dall'alto di una fredda torre", sempre scritto da Gili e diretto da Frangipane, un altro dramma etico in una famiglia. Cosa la colpisce del loro lavoro?

«Filippo ha un'ossessione per la famiglia e per i pranzi: soprattutto in Italia, le famiglie si incontrano e si scontrano mangiando. Nei suoi spettacoli accade sempre qualcosa che pone i famigliari al limite. Non sono testi che forniscono una soluzione, ma danno la possibilità di pensare: io, al posto loro, come avrei reagito? La famiglia ce l'abbiamo tutti e quindi tutti dobbiamo farci i conti».


"Imma Tataranni" le ha portato il grande successo in tv, cosa la spinge a tornare sul palco?

«Non facevo teatro da due anni: Frangipane me l'ha proposto, io avevo tre mesi di libertà e ho accettato perché questa è la mia famiglia teatrale. Il teatro è un filo che cuce tutta la mia carriera: quando posso mi piace tornare in scena».


A proposito di impegni, ha appena terminato le riprese della serie Netflix "Storia della mia famiglia" di Claudio Cupellini, su un uomo che vive il suo ultimo giorno di vita. Qual è il suo personaggio?

«Sono la madre del protagonista Fausto, interpretato da Eduardo Scarpetta, una donna bizzarra: un personaggio fuori dalle mie corde, diverso da quelli che ho interpretato finora, ma che mi ha interessato interpretare. Anche qui si parla delle dinamiche che si scatenano in una famiglia improbabile».


Nel 2003 è stata per la prima volta a Trieste con "La coscienza di Zeno" di Tullio Kezich. Le è capitato di tornare altre volte?

«Quella prima volta c'era la bora e, come tutti quelli che non la conoscono, sono rovinosamente caduta. Però mi piaceva tantissimo. Erano gli inizi, ero entusiasta di partire in tournée per un'Italia che non conoscevo. Ricordo le passeggiate solitarie lunghissime che mi facevo alla scoperta della città. Ogni tanto ci torno perché ho cari amici a Gorizia. Ho preso la patente molto tardi, a 40 anni: sono andata a trovarli ed era la seconda volta che mi mettevo in macchina per un viaggio lungo, poi sono arrivata fino a Trieste per una strada interna. Trieste è una città che mi induce alla riflessione, al perdermi». —



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