Gian Paolo Polesini
Joe Orton visse intensamente, scrisse del buon teatro — che ancora oggi è apprezzato — e non sempre fu acclamato dai recensori del tempo, come spesso accade a certi personaggi strambi morti senza gloria. Il commediografo inglese di Leicester visse tra il 1933 e il 1967, troppo poco per imporsi veramente nel suo contemporaneo. Il fidanzato tradito lo finì con una decina di martellate in testa e poi si uccise con ventidue compresse di Nembutal.
Orton sarebbe orgoglioso di sapere che il suo "Il malloppo" è vivo e vegeto e viaggia in un tour assieme con Gianfelice Imparato, Marina Massironi e Valerio Santoro (e con Giuseppe Brunetti e Davide Cirri), è tradotto da Edoardo Erba e sarà in scena dall'1 al 4 febbraio al Teatro Bobbio di Trieste. Oggi debutta in regione al Sociale di Gemona, e poi sabato 10 febbraio sarà di scena a Cordenons e domenica 11 a Palmanova, tutte date del cartellone dell'Ert.
Marina, le tournèe la corroborano?
«Non potrei mai vivere senza il teatro. Bellissimo il cinema, bellissima la tv, però stare in compagnia di un pubblico per un paio d'ore a sera è impagabile».
Come fate voi attori quando incappate in una serata out? Non so, invento: un mal di pancia, una telefonata andata male e l'umore è nero, stanchezza, voglia zero, cose così.
«La vita accompagna il teatro, è sempre stato così. A volte il palcoscenico è pure curativo. Se hai la febbre, magari là sopra ti passa. La scena aiuta a sconfiggere l'influenza. Per altri mali c'è l'evasione totale che ti costringe una commedia. Non riesci nemmeno a pensare al dolore. Anzi, le dirò: la rilassatezza è più pericolosa dell'ansia. Appena molli la presa ti capita l'imprevisto. Pensi che io ho recitato il giorno dopo la morte di mio padre. È stato terribile, eppure sono riuscita a convogliare nel testo tutta la mia energia».
Ci fa entrare in questo lavoro, giusto un paio d'indicazioni?
«Eccome no. Orton è uno che ha sempre cercato di scardinare i perbenismi. Joe se la cavava a meraviglia con le commedie nere. Peccato che l'assassinio interruppe il suo splendido flusso. Black non significa necessariamente cupa, anzi ne "Il malloppo" si ride. Con, in presenza, il politicamente scorretto e la provocazione. Il mantra della comedy è: "Bisogna salvare le apparenze". Due ladri inesperti decidono di svaligiare una banca, la cui sede è accanto a un'impresa di pompe funebri. Dove finirà il malloppo?».
Possiamo trovare una qualche morale qui dentro?
«Il lavoro libera una riflessione su quello che siamo, su quello che mostriamo e fino a che punto l'interesse spinge a farci relazionare con le altre persone».
Trova che i rapporti umani siano deteriorati ultimamente?
«Tutti speravano di ritrovare una bella armonia nel post Covid, con la voglia che avevamo di condividere tutto dopo mesi vissuti da reclusi. Invece ci ritroviamo più cattivi di prima».
Lei si è divisa equamente fra i generi: prosa, cinema, televisione.
«È fondamentale testare prima di scegliere. Comunque l'uno non esclude l'altro. Il palcoscenico è il luogo della memoria. Quand'ero bimba m'innamorai nonostante fossi soltanto una spettatrice. Appena ebbi l'occasione di provare l'ebrezza di guardare la platea da lassù, beh, fu una folgorazione. E guai se non fosse anche oggi una grande emozione».
Se le dico "Pane e tulipani" e "Purché finisca bene - Se mi lasci ti sposo" le viene in m ente un legame con la regione?
«Eccome no. Due care persone, uno udinese e l'altro goriziano: Giuseppe Battiston, che poi è uno dei miei migliori amici e Matteo Oleotto. Gente tosta, me ne sono ben accorta lavorando con loro».
Settant'anni di Tv: subito scatta la memoria a "Rabbrividiamo", una grande televisione comica. La guarda ancora?
«Causa lavoro l'accendo il minimo indispensabile. Apprezzo i programmi di servizio pubblico, tipo "Propaganda Live" e "Chi l'ha visto". Da allora, è naturale, il mondo è cambiato e, di conseguenza, anche la Tv. Adesso posso dire che i settant'anni li dimostra tutti».
"Lol, chi ride è fuori": davvero nessuno sa chi ci sarà in sala o è il solito trucco per noi allodole?
«Davvero. C'è un servizio d'ordine pazzesco. Nessuno deve conoscere i concorrenti finché non entra nel salone. È una regola fondamentale. Capisco possa sembrare una finta, ma non lo è affatto». —
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